Sunday 22 April 2012

Fenomenologia delle Relazioni Internazionali


Se fossi nell’Egregio Ministro Profumo, piuttosto che affannarmi tanto sull’abolizione del valore legale dei titoli di studio, mi dedicherei ad un’attività preventiva e formativa per i giovani futuri universitari. Non parlo della scelta del corso di studi, ma dello step immediatamente successivo: una guida pratica alla presentazione al mondo della tua facoltà, corredata di effetti collaterali derivanti da errata somministrazione. No, perché la vita di chi ha scelto Relazioni internazionali e diplomatiche non è mica facile.

Avrebbero dovuto darmi un foglietto illustrativo quel giorno, insieme al modulo di immatricolazione, che  mi avvertisse quantomeno che la  mia esistenza nei cinque anni seguenti sarebbe stata costellata da facce a forma di punto interrogativo, come replica alle richieste di informazioni sul mio corso di laurea. E dico solo cinque anni, perché poi sarebbe stato opportuno che alla laurea mi avessero dato un ulteriore vademecum su come balbettare cazzate alla domanda: “e ora cosa fai”?
Perché, se nella mia mente ho sempre avuto abbastanza chiaro quello che stavo facendo e quello che mi accingevo a fare, gli esiti delle mie spiegazioni agli estranei alla materia mi sono sempre parsi fumosi e disarticolati. D’altra parte, che tipo di logica argomentazione avrei potuto impostare all’ormai leggendaria replica di una lontana zia alla fresca notizia:

 “Ah. Ma è proprio una facoltà?”

Avrei mai potuto parlare di guerre preventive, di Convenzioni di Ginevra, di giuoco internazionale (cit. per chi la capirà)? No. Soprattutto perché lei avrebbe trovato più verosimile una risposta tipo: “no, è una cooperativa agricola dove si studiano tecniche di negoziazione per il baratto di pomodori con i cinesi”.

In generale, nel periodo universitario la reazione alla notizia si poteva ricollegare ad una semplice equazione anagrafica: entusiasta e a tratti scomposta per la “figata” della cosa tra gli under 25, sbadata approvazione per i 25-40, che avevano paura di sentirsi antichi nel chiedere ulteriori informazioni, modello zia per il resto.
Non ho fatto in tempo ad abituarmi alla polarizzazione superfiga- studentessa di scienze delle brioches, che la laurea ha cambiato tutto. Perché la notizia di essere in fase di ricerca del lavoro stimola oltremodo la fantasia altrui, impreziosendone ulteriormente i conseguenti saggi consigli. In questo caso, la reazione a “sono laureata in Relazioni internazionali e sto cercando lavoro” non è facilmente classificabile.

Ma, al fine della comprensione, continuerò con la suddivisione anagrafica, tracciando due grandi gruppi:

Over 40: se all’indomani dalla laurea si erano discretamente delineati scenari che variavano da Ministro degli Esteri a vice di Ban Ki Moon, pian piano stanno emergendo gli evergreen.

1) il concorso pubblico. Uno qualunque.  Perché se vinci un concorso pubblico eh… Eh?

2) La banca. Perché il posto in banca è sempre una sicurezza.  Da Lehman Brothers pure erano tutti sicuri.

3) “ma tu non potresti insegnare niente?”  Uhm si, alle scuole medie ci sarebbe grande richiesta per la materia “la Russia nel mondo”. D’altra parte, in Russia c’è già. (e non scherzo)

Under 40. La loro più o meno fresca esperienza di ingresso nel mondo del lavoro li fa sentire legittimati a vaticinare consigli ma anche a lanciarsi in ipotesi sulla tua futura carriera. La constatazione delle ottime intenzioni è solo un palliativo al dato di fatto che per i ¾ di loro l’UE serve essenzialmente a non usare il passaporto per viaggiare e Bismarck potrebbe tranquillamente essere una marca di porcellane bavaresi. Quindi, a seconda del livello di fiducia che ti attribuiscono, ecco la top three delle espressioni,  rigorosamente tratte da scena di vita vissuta:

 1)  Ma ho sentito che  in questi giorni c’è quel concorso…quello “proprio dei diplomatici”. Perché non vai a farlo?  Perché aspetto di dimenticarmi ancora qualche altra cosa, sai, per il concorso sulle brioches più si è impreparati meglio è.

 2)  Ah, un mio amico mi ha detto che all’UE gli stage sono pagati. Fai la domanda, non è una cosa che si sa molto in giro, sicuramente hai buone possibilità. No, è che poi fare domanda solo con altri 15000 da tutta Europa..non so, mi darebbe la sensazione di avere la vita troppo facile.

E, l’ultima, più diffusa, che potrebbe acquisire un senso se non fosse pronunciata preferibilmente da giovani che hanno varcato l’italico confine per visitare San Pietro in terza media e per andare in Grecia dopo la maturità:

 3) Perché non vai all’estero? (un estero X, uno qualsiasi, come per i concorsi). Perché poi sarebbe troppo stressante dover decidere tra tutte le ugualmente vantaggiose offerte di lavoro recuperate camminando per strada, perché all’estero funziona così.

Ora, capirete che davanti a tale scenario, comincia ad essere non solo verosimile, ma anche allettante la prospettiva di fare volantinaggio con i propri CV o in alternativa di iscriversi alla Lega solo per farsi comprare una laurea in Ingegneria a Malta.

La verità è che spesso la frustrazione per il desolante panorama lavorativo è aggravata dalla percezione dell’essere considerati laureati di serie B, che pagano adesso con una doppia fatica la presunta facilità del loro corso di studi. Una percezione diffusa, della quale non sempre si riesce a ridere. Per evitare lo sgomento, o per riderne di più,  il comportamento del laureato medio in Relazioni Internazionali è quello di relegare l’argomento “lavoro” esclusivamente alla ristretta cerchia dei propri simili, lasciando che si infittisca di mistero con il mondo esterno, al quale riserverà sorridenti silenzi. Perché chiedersi cosa c’è tra il Ministro e le brioches con chi conosce la crucialità della situazione del Nagorno-Karabakh è tutta un’altra storia.

Ma veniamo al vero scopo di questo post, che non è lo sfogo di una neo-laureata (nemmeno tanto neo, ahimé) che si districa nella giungla del mondo del lavoro, sebbene forse qualcuno potrà leggervi una leggerissima punta di esasperazione. Lancio qui un accorato messaggio a tutti voi, parenti, amici, conoscenti, estetisti, parrucchieri di un laureato in Relazioni Internazionali: perfezionatevi in incoraggianti silenzi-assensi. Cioè, il problema non è la non conoscenza dell’argomento, ma il fatto che voi vogliate parlarne comunque. Nemmeno io ho mai capito cosa fa un laureato in ingegneria gestionale, ma non per questo  lo invito ad aprirsi una salumeria, perché sempre di gestione si tratta.
Limitarsi a rassicuranti frasi fatte. Insomma, un “quando meno te l’aspetti” andrà benissimo.

Saturday 7 April 2012

"E TU, COSA VUOI FARE DA GRANDE?" " LA RISORSA PERFORMANTE"


Sono cresciuta in un ambiente accademico che visto a posteriori è un’oasi felice: fricchettoni in libertà, impegno politico, la giusta dose di coscienza civica, molto idealismo, poco spirito di competizione. Una guida pratica a come essere inadatti al mondo esterno, insomma. Fino ad ora non avevo capito a fondo la portata della sua influenza su di me. Fino a che non mi sono ritrovata nel limbo di quelli che oggi chiamano simpaticamente NEET (Not in Education, Employment or training). Nella ricerca del lavoro  ho sempre seguito determinati standard in cui quello che mi piacerebbe fare corrisponde anche ad un discreto livello di coerenza etica e morale. 

Poi è capitato, "quando meno me l’aspettavo”, un colloquio per una grande società di consulenza. Un colloquio di gruppo. Presa da mille dubbi esistenziali sull’opportunità  di provare ad entrare in un circuito che nella mia personale top ten delle cose da evitare si batte il primo posto con la metropolitana di Napoli ad agosto e le vacanze a Ibiza, ho deciso di andare a vedere di che si trattava, nel vortice attuale del “non lasciare nulla di intentato”. In fondo, mi sono detta, il mio parere si fondava su supposizioni e rumors raccolti qua e là; pensavo che sarebbe stata un’occasione per superare o confermare un pregiudizio con un’esperienza diretta.

Prima lezione: i pregiudizi a volte sono una salvezza. Dovremmo lasciarli lì tranquilli, non c’è mica bisogno di affrontarli ogni volta. Peraltro, molto spesso i pregiudizi possono risultare deludenti, come nel mio caso. I miei, in confronto alla realtà effettiva, erano fiorellini e ricami rosa.
Andiamo con ordine.

Partecipanti al colloquio: divisa d’ordinanza. Giacca e cravatta per i ragazzi (a tal proposito, rilevante conversazione telefonica con amica C: “già c’è qualcun altro?” IC: “si, ma mi sembrano vecchi in realtà” C: “eh, ma è tipico di quelli di economia”), tailleur e tacco 12 per le ragazze. Borsa variabile da Hermés  Louis Vuitton fino ad una banalissima Armani Jeans. L'odio gratuito a primo impatto di IC si concentra subito su una ragazza napoletana, notevole per una chioma bionda con una tonalità ugualmente intensa a quella del nero delle sopracciglia. Ha reso IC fiera di suoi pregiudizi (vedi sopra) con un’unica frase: “ieri sono stata dal parrucchiere, perché io in genere sono riccia, però sai, il liscio è più formale”. Non  si è fermata qui, pensando bene di avvertire tutti, convinta della sua travolgente simpatia, che prima di entrare doveva “spegnere tutto quello che ho”, sfoggiando Iphone, Ipad etc etc.  Il suo ruolo era quello della sciolta e disinvolta che, con la scusa di fare conversazione perché-sono-solare-intelligente-brillante indagava neanche troppo discretamente sulle caratteristiche della concorrenza. In generale, erano tutti simpatici come le calze smagliate appena arrivate ad una festa. E' poi verosimile pensare che odiassero indistintamente IC  per l' atteggiamento di chi affrontava la giornata con lo stesso pathos con cui si affronta un giro al supermercato.

Colloquio: il primo step è la presentazione dell’azienda. Un tripudio di termini inglesi sparati a caso, perché, you know, “siamo una delle prime multinazionali mondiali”. Segue disegno della PIRAMIDE  AZIENDALE. Volti che si illuminano. In pratica, è molto facile fare carriera se ti fai un mazzo così dal primo giorno ed è molto facile guadagnare bene. Detto in parole loro: “è chiaro che poi saranno solo le RISORSE PIÚ PERFORMANTI ad avanzare”. IC avverte fisicamente il delinearsi sul  volto dell’espressione : “cosa c***o ci faccio qui?”, alternata ad entusiasmo per l’esperienza sociologica in atto. Volendo tralasciare il fatto che risorsa performante letteralmente non significa una beneamata mazza, ma cos’è? Una recita caricaturale organizzata da un centro sociale? Siamo in un romanzo di Orwell e non ce ne siamo accorti?
Segue prova di logica e matematica, alla quale IC sarà bellamente segata in tronco, più prova di inglese. Per dimostrare che “l’azienda conferisce un’importanza assoluta all’inglese”, il tenore della prova è: scrivi il nome del personaggio che sta parlando.

“Hi, I am Jon”
“Sorry, can you spell it?”
“J-O-N. Not J-O-H-N”
“Alright”
“J-O-H-N is wrong. J-O-N is right”

Alla fine delle prove, IC capisce che non sarà mai una risorsa performante quando i suoi colleghi si dimostrano agitatissimi per il test di inglese e non fanno una piega per quello di matematica, al quale IC probabilmente avrà risposto bene, e non senza fatica, solo a “2+…=10”.

Gita negli uffici: IC ha avuto la preziosa possibilità di fare visita agli uffici interni, grazie ad una talpa, amica Y che ci lavora (responsabile anche dell’avventato invio del CV di IC). Ufficio pare peraltro una parola azzardata. File sterminate di cubicoli con postazioni computer debitamente separate da quelle laterali; risorse performanti ovunque, in divise blu/nere. Un colore manco a pagarlo. Macchinetta del caffè assediata da risorse performanti. Amica risorsa performante Y mi spiega che all’interno del computer c’è una specie di chat che controlla tutte le attività, nonché l’ orario di accesso. Alcune risorse performanti si lamentano dei ritmi di lavoro, ma poi convengono che “è un’azienda importantissima, è una fortuna lavorare qui e si può lavorare per la promozione”. Una risorsa performante amica di risorsa performante Y, ricordando con aria sognante il suo colloquio, elargisce consigli a IC sul comportamento da tenere al colloquio di gruppo, invitandola a fare da moderatrice, mettendosi in mostra, ma senza prendere posizioni nette. Per fortuna IC non ci è mai arrivata al colloquio di gruppo.

Ora, capisco che probabilmente è una visione un po’ parossistica della faccenda, ma ho trovato davvero tutto molto avvilente. L’assoluta spersonalizzazione di ragazzi in gamba costretti a mascherare l'insoddisfazione dietro ad un’ idea di “fortuna” etero-imposta; l’ipocrita convenzione di vestirsi di tutto punto per passare la giornata in un metro quadro; la logica malata del colloquio di gruppo per cui per vedere riconosciute le tue capacità devi sentirti migliore degli altri in una gara faccia a faccia a chi ci riesce meglio; sacrificare la propria vita sociale a 25 anni per fare gli straordinari fino alle 10, per “performare” di più.

 Probabilmente, il mio è un mondo ancora troppo dorato, viziato da pregiudizi e dall’ingenua idea che non si debba sacrificare per forza la passione con cui hai animato i tuoi studi; forse tutto ciò  si sgretolerà con un vero bagno nella realtà Ma a prescindere dalle ambizioni, dalle aspettative e dalle scelte dipendenti dal libero arbitrio di ognuno, voglio sperare che nessuno debba mai ridursi ad essere lusingato  nel sentirsi definire “una risorsa performante”.
Il cerchio della mia introspezione sociologica nel mondo performante si è chiuso con questo passo letto nel viaggio di ritorno, tratto da “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley:

Perché il nostro mondo non è il mondo di Otello. Non si possono fare delle macchine senza acciaio e non si possono fare delle tragedie senza instabilità sociale. Adesso, il mondo è stabile. La gente è felice; ottiene ciò che vuole e non vuole mai ciò che non può ottenere. Sta bene; è al sicuro, non è mai malata; non ha paura della morte; è serenamente ignorante della passione e della vecchiaia; non è ingombrata da padri , né da madri; non ha spose, figli o amanti che procurino loro emozioni violente; è condizionata in tal modo che praticamente non può fare a meno di condursi come si deve.