Sunday 28 October 2012

Max, è la legge della percoca che non sbaglia mai




Oggi vorrei parlarvi di come la vita a volte ci sorprenda con seconde, terze e quarte possibilità, presentandosi sotto altre vesti. Ma anche sotto vesti che conosci benissimo, o che non ci tenevi per niente a scoprire, o ancora che hai accuratamente ignorato. Parliamo di fatti wannabe sentimentali/sessuali. Wannabe, perché non si sono mai concretizzati. Quelle cose perennemente in sospeso, a cui non riesci a trovare una definizione. Ebbene amici, da oggi non avrete più il problema di non trovare le parole; credo che sia necessario condividere la geniale intuizione della mia amica C a tal proposito.
Era un torrido pomeriggio dell’agosto 2011, quando mi accingevo a raccontare a C. dell’ennesimo ritorno dall’oblio di un tipo X. Solo le cicale interrompevano il silenzio intorno a noi, prima che C, alla fine del racconto,  placidamente affermasse:

quando la percoca ti rimane in canna, poi è difficile mandarla giù.

Una frase illuminante. 

N.D.R. (Per chi vivesse aldilà dei confini dell'ex Magna Grecia, la percoca è un tipico frutto estivo, una sorta di pesca. E' conosciuta ai più per la sua funzione socio-ricreativa, affogata nel vino di pessima qualità nelle sagre di paese o nelle feste organizzate in ristrettezze economiche)
 
Care amiche e amici, che magari vi sentite soli, abbandonati, fragili, sollevatevi, perché siete sicuramente la percoca di qualcuno. Quando meno ve l’aspettate (sic) lo scoprirete. Io parlo per esperienza sul campo. Perchè si dà il caso che per secondo lavoro potrei fare la percoca (il che presupporrebbe che io abbia un vero primo lavoro. Non è cosi, ma mi piace pensarlo). Mi sto informando sui dottorati in Occasioni Perse, così come potrei dare ripetizioni serali su tema “Teorie e metodi dell’accanimento di gente che ignora la parola “no””.

Si, perché esistono due tipi di percoca rimasta in canna, a seconda della causa:

a)  Ruolo di percoca passiva, nominata per acclamazione. E’ il caso di quelli che ci hanno disperatamente provato senza la benché minima speranza di successo. Quelli a cui non l’hai fatta nemmeno annusare, per intenderci. Dopo un primo momento di rancore dovuto alla ferita nel virile orgoglio, torneranno. E' certo. E lì sono problemi. Perché se la prima volta eri riuscita a mantenere un certo aplomb, la ciclica riproposizione del copione “ci provo ma non voglio fartelo vedere per non darti soddisfazione” può arrivare ad esasperarti.

b) Cause di forza maggiore: nonostante la buona volontà, le circostanze avverse- tempo-imbranataggine-c’ho altro da fare- hanno fatto perdere il momento giusto e impedito il concretizzarsi della faccenda. I nostri eroi si rincontreranno di sicuro, secondo basilari leggi di Murphy: preferibilmente appena uno dei due si sfidanza, che in buona parte dei casi coincide con l'inizio della nuova relazione dell’altro. E’la forma di percoca più persistente, perché su basi reciproche.

Io so che voi, forse di giovane età, ora starete pensando che no, è impossibile, che volere è potere, che “se non è destino…” e tutte queste favolette qua.
Siete liberi di crederlo, ma non di illudervi di esserne immuni. Tutti hanno una percoca nell’armadio. Fosse pure quello che non ha voluto darti la mano quella volta in terza elementare. Ce ne sono di varie: quelle fintissime che giustifichi con “avrei potuto, ma non ho voluto”. Quelle vendicative che “ stronzo, se ha la faccia di culo di tornare gli faccio vedere”. Quelle sentite che “che se lo ribecco sarà la volta buona”.

O ancora, penserete che in fondo è facile liberarsi di un fan ciclico. Che prima o poi lo capiranno. Non è così. Sarà prima un messaggio, poi una canzone, poi un caffè. Per lui sarai sempre quella che “prima o poi ci riuscirò”.

Non negate l’evidenza, anche quando possono esserci illusori momenti di stallo.
Anche se il fan si fidanza-sposa-procrea.
Anche se in buona parte dei casi scoprirete che la bellissima idea che avevi della percoca in questione non gli somigliava affatto. Non è un buon motivo per credere di averla superata.

Una percoca è per sempre.

Monday 22 October 2012

"That's it". Di palestre londinesi.



E’ successo che l’alimentazione british+giornata col culo sulla sedia non aiutano né la socialità né una dignitosa conservazione del suddetto culo. Quindi è partita la ricerca di una palestra. 

Dal momento che i proventi offerti dalla vita di sponsored intern non consentono follie, la ricerca si e’ focalizzata sulle palestre più pezzenti, of course. L’illusione di averne trovata una con un ottimo rapporto qualità-prezzo-frequentatori fighi- vicinanza al lavoro si è miseramente schiantata contro la solita, perentoria affermazione: you need a bank account. Credo che qui chiedano il bank account anche per i gettoni dei bagni pubblici, ma questa è un’altra, travagliata storia. 
Quando ormai non ci speravo più, la mia roommate ha proseguito caparbiamente nella ricerca ed è riuscita a trovarla. Lei, la palestra piu’ pezzente di tutte.
Scena: io e roommate entriamo in questo centro fighissimo, campi da calcio, bar, campi da tennis, fighi un po’ dappertutto. Entusiaste, chiediamo informazioni sulla palestra. Un ragazzo di colore, basso e tracagnotto ci porta a vederla. VederLA, non la palestra, ma LA stanza di 10Mq dove c’e’ la palestra. “That’s it” dice placidamente Hyke, il basso e tracagnotto che si scoprirà essere un trainer, il nostro trainer per l'esattezza. Davanti alle nostre facce perplesse, si lancia di sua spontanea iniziativa nella proposta di farci lo sconto studenti. 17 pound per month e passa la paura. Se avessimo sbarrato un po’ di più gli occhi forse si sarebbe offerto anche di prepararci la cena. 
Davanti a tali dati di fatto, non possiamo fare altro che accettare. Dopo aver compilato il modulo di iscrizione e aver scoperto di appartenere al gruppo etnico “white” alla voce “other”- perché le uniche alternative possibili erano British e Irish- prendiamo appuntamento con Hyke, per il primo allenamento. L’unico a cui lui sarà presente, ci tiene a sottolineare svariate volte. 
Il giorno dopo, Hyke è così rapido che abbiamo giusto il tempo di renderci conto che è decisamente  meno trained di noi, visto il fiatone dopo due addominali, e anche per realizzare che l’altro trainer, tale Sanchez, e’ ovviamente piu’ figo e atletico. 

Però Hyke è proprio una brava persona, devo dirlo: lui, con il suo gergo yo bro si fa un sacco di risate, e poi ha preso a cuore le nostre storie. Al punto che, nel salutarci, annunciando sostanzialmente che  non l’avremmo rivisto mai più in sala- ci dice, battendosi la mano sul petto, che farà tutto il possibile per cercarci un lavoro, appena sente di qualcosa “among his friends” ce lo farà sapere

Se resterò a Londra a fare la personal trainer gesticolando come 50 Cent, saprete già come è andata.

Saturday 13 October 2012

Ritratto d'intern








Questo e’ quello che si vede dall’ufficio. Degli altri. Perche la intern room e’ nel piano semiterrato, da dove si vedono sostanzialmente culi da prospettive poco appetibili. Mi sembra gia’ un’ ottima metafora della nuova (?) vita da stagista. Anyway, nonostante la location, devo dire che questa vita non è niente male. Il lavoro è una figata, sono contenta.
Certo, ci sono poi dei piccoli problemi, che provvederò ad elencare di seguito. (Si è capito che mi piace fare elenchi?)

1)       Sono tutti molto gentili in ufficio. La prima volta. Alla terza  presentazione, corredata di ampi sorrisi, si intuisce che hanno una scaletta prestabilita, che nell’ordine prevede:

             Hi, let me introduce myself…
            Who are you working with?
            Which project?
            Oh, I see. I am working on…
            See you!

Dopo di che, l’oblio. Vaghi cenni di saluti in entrata e in uscita, il massimo della socialità è uno scambio di battute sulla lentezza dei computer. Il lato più inquietante è che generalmente questi non alzano il culo dalla sedia neanche per cose di elementare sopravvivenza, tipo nutrirsi, andare in bagno. (dalle mie parti, il savio dice: “non mangia per non cagare”). La pausa pranzo? What?  L’immediata conseguenza è che tu, che usi mangiare e magari distrarti ogni tanto, ti sentirai una fancazzista anche solo a soffiarti il naso.

Le postazioni computer sono vicine tra di loro, per cui non puoi neanche cazzeggiare amabilmente davanti a siti random. Per dire, ogni tanto per sballarmi vado sul sito di Repubblica. L’unica strada che ti rimane e’ assumere un’espressione concentrata e tesa anche mentre stai scorrendo il listino dei prezzi di un’estetista, sperando che nessuno stia sbirciando sul tuo schermo.

2)      Capitolo lingua. I colleghi sono di svariate nazionalità. Il problema linguistico subentra con i locali. Perché questi inglesi parlano un inglese davvero strano. Fatalità, l’unico che azzarda frequenti conversazioni out of topic, è inglese. Il che sarebbe davvero carino, se non fosse che capisco la metà di quello che dice. Per cui, mi prodigo in sorridenti assensi e varie tonalità di “Yee” . Prima o poi proverà ad insultarmi per vedere se rido ancora. O forse l’ha già fatto.

3)      Capitolo pranzo. C’è questa imponente signora inglese (che forse è una ragazza) che si aggira per gli uffici con un tristissimo trolley lunch, ricco di sandwhich dai contenuti discutibili. Tra un giro e l’altro, esercita una specie di mobbing. Ho un rapporto travagliato con il suono di quelle rotelle che si avvicinano. Mentre stai cercando di scegliere il panino meno peggio, lei ti fissa. Se ci metti più di 10 secondi, fa passare quelli che sono dietro (che sono tipo 2, eh). Lo fa per confonderti ancora più le idee, è certo. Ma il bello è che, dopo la sudata scelta, ti mette in crisi dicendo: ARE YOU SURE?” . Devo specificare anche che i suoi baffi non aiutano a mantenere la concentrazione molto a lungo; esemplari visti raramente. Comunque, si fa sempre più strada la tesi che sia una delle risorse umane che testa la tua capacità di lavorare sotto pressione.

4)      Ringraziamenti. Non ti parlano, ma ti ringraziano sempre. Per esempio, ho rotto le palle per tre giorni a quelli dell’IT perché avevo problemi con le password. Abbiamo avuto una fitta corrispondenza e ho anche creduto che a un certo punto mi avessero messa nello spam. Però alla fine, in ogni caso: MANY THANKS.

5)      Abbeveramento. In ufficio, come in tutti i luoghi civili che si rispettino, ci sono i distributori di acqua for free.  Ora, io non so cosa ci sia di preciso in quel boccione. So solo che è altamente diuretico. Sebbene il percorso verso il bagno risulti il momento di massimo svago della giornata lavorativa, sento di essere responsabile della dissipazione di una buona parte delle risorse idriche britanniche.

 Però, fare la pausa pranzo qui (si, perché io faccio la pausa pranzo) non ha prezzo